La scienza dietro la magia della fermentazione
La fermentazione è un processo biochimico di trasformazione di sostanze compiuto da microrganismi. Il termine deriva dal verbo latino fervēre (= ribollire) usato per descrivere il comportamento del mosto nella vinificazione, ma la produzione di bevande e cibi fermentati ha origine ben prima della civiltà romana. La più antica testimonianza dell’impiego di questo processo è un recipiente per il vino risalente a oltre 7 mila anni fa, e altri reperti giunti fino a noi ci rivelano che Sumeri, Egizi e Babilonesi producevano abitualmente pane e birra grazie alle fermentazioni. Aceto, yogurt, crauti, sidro, salsa di soia: sono ulteriori esempi di alimenti fermentati che l’uomo produce dalla notte dei tempi, dopo avere casualmente scoperto che alcune materie prime in certe condizioni si trasformavano spontaneamente in qualcosa di diverso, più appetibile, digeribile, conservabile, senza però avere la minima consapevolezza del processo biochimico alla base.
I microrganismi protagonisti
È solo nella seconda metà del 1800 che il chimico e microbiologo francese Louis Pasteur scopre il ruolo dei microrganismi nel fermentare gli zuccheri ad alcol e nel provocare alcune anomalie nel vino, come la trasformazione in aceto. Di certo saprete che il processo di pastorizzazione prende il nome proprio da Pasteur e dai suoi studi sull’applicazione del calore per inattivare i microrganismi. In realtà l’esistenza di queste minuscole creature era già stata osservata verso la fine del 1600 dall’olandese Anton van Leeuwenhoek grazie agli avanzamenti nella microscopia da lui stesso compiuti, tuttavia all’epoca si credeva ancora che la materia organica deteriorasse in modo spontaneo. I successivi progressi scientifici e tecnologici hanno permesso di conoscere sempre più a fondo le specie microbiche protagoniste dei processi fermentativi, le reazioni chimiche che avvengono, le sostanze che si generano, le modificazioni a cui le matrici alimentari fermentate vanno incontro. Oggi sappiamo che i microrganismi fermentanti sono batteri e lieviti (= funghi unicellulari) in grado, con i loro enzimi, di demolire le sostanze organiche come gli zuccheri in molecole più semplici. Così facendo, l’energia che era immagazzinata in tali sostanze diventa disponibile per la sopravvivenza del microrganismo. Noi umani abbiamo imparato a sfruttare e ottimizzare i processi fermentativi per ottenere non solo prodotti alimentari e bevande, ma anche singole molecole utili in diversi settori industriali.
I processi fermentativi
A seconda del microrganismo, del substrato e della presenza o meno di ossigeno (ma anche temperatura e pH sono fattori molto importanti) si possono avere differenti processi fermentativi.
Fermentazione alcolica
Avviene in assenza di ossigeno ed è attuata da lieviti che demoliscono gli zuccheri con conseguente formazione di alcol etilico (etanolo) e anidride carbonica (CO2). Il lievito di elezione per la fermentazione alcolica è il Saccharomyces cerevisiae, il “lievito di birra” che tutti conosciamo. L’etimologia del suo nome rivela tutto su di lui: cerevisiae deriva dal gaelico kerevigia e dal francese antico cervoise (entrambi vogliono dire birra), mentre in greco antico sákcharo significa zucchero e mycos fungo.
Fermentazione acetica
Consiste nell’ossidazione dell’etanolo in acido acetico. È operata da batteri (in particolare appartenenti al genere Acetobacter) in presenza di ossigeno.
Fermentazione lattica
È la trasformazione di zuccheri in acido lattico effettuata in assenza di ossigeno da batteri comunemente chiamati batteri lattici. Alcuni di loro sono omofermentanti, ossia producono solo acido lattico, e in questo caso si parla di fermentazione omolattica. Esiste poi la fermentazione eterolattica, dovuta a batteri lattici eterofermentanti, che oltre all’acido lattico producono anche etanolo e CO2, più altri prodotti minori come acido acetico, propionico, ecc.
Alimenti e bevande fermentati
Grazie alla fermentazione possiamo godere di tutta una serie di alimenti e bevande che a questo processo devono le loro caratteristiche sensoriali uniche, le proprietà nutrizionali, la shelf life e la relativa sicurezza microbiologica. Infatti, la presenza di acidi (con conseguente abbassamento del pH) e di alcune molecole ad attività antimicrobica (batteriocine) derivanti dalla fermentazione ostacola lo sviluppo di microrganismi patogeni e alterativi. Analizziamo di seguito alcuni prodotti fermentati tra i più diffusi o curiosi.
Yogurt
È latte fermentato dai batteri lattici Lactobacillus bulgaricus e Streptococcus thermophilus, che utilizzano il lattosio (zucchero del latte) a scopo energetico, generando acido lattico come prodotto di reazione. Oltre che influire sul sapore, l’acido lattico provoca la coagulazione del latte dalla quale deriva la tipica consistenza dello yogurt. Parallelamente avvengono altre reazioni biochimiche, anche a carico delle proteine, con formazione di composti importanti sia sul piano sensoriale (come acetaldeide e diacetile) che nutrizionale (aminoacidi liberi, vitamine, ecc.).
Kefyr
Latte fermentato originario della regione del Caucaso, derivante dalla contemporanea azione di lieviti e batteri lattici. Ai primi si deve la produzione di etanolo e CO2 per effetto della fermentazione alcolica, e ai secondi la produzione di acido lattico. Il risultato è un prodotto acidulo e lievemente frizzante, contenente anche una gamma di composti secondari di interesse nutrizionale.
Kombucha
Bevanda fermentata a base di tè prodotta con una coltura simbiotica di batteri e lieviti denominata SCOBY (Symbiotic Culture of Bacteria and Yeast), che si presenta come un disco gelatinoso. Questo insieme di microrganismi dà luogo a una fermentazione mista (lattica, alcolica e acetica) che genera una serie di composti (acidi organici, vitamine, polifenoli, ecc.) interessanti per i loro possibili effetti salutistici. Originario dell’Asia, il kombucha sta crescendo in popolarità anche in Occidente per le proprietà benefiche che gli vengono attribuite e che la ricerca scientifica sta cercando di approfondire.
Vino
Bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione del mosto d’uva. I lieviti (S. cerevisiae e altri, presenti naturalmente sulle bucce dell’uva o aggiunti come starter) demoliscono gli zuccheri producendo, oltre ad alcol e CO2, anche sostanze minori ma cruciali per le caratteristiche sensoriali del vino, fra cui il glicerolo. Inoltre, intervengono alcuni batteri responsabili di altri processi fermentativi come la fermentazione malolattica, che porta alla trasformazione di acido malico (presente nell’uva) in acido lattico, dal sapore meno aspro.
Birra
Si produce a partire da cereali, principalmente orzo e frumento, che sono ricchi di amido, un carboidrato composto da più unità di glucosio legate fra loro. Il lievito non riesce a utilizzare il glucosio fintanto che questo si trova legato nella catena dell’amido, perciò viene prima effettuata la maltazione, che consiste nel far germinare i chicchi dei cereali (mediante immersione in acqua) allo scopo di attivare gli enzimi in essi contenuti. I cereali germinati, ricchi di enzimi e composti derivanti dalla degradazione enzimatica di molecole complesse, prendono il nome di malto. Fra gli enzimi più abbondanti nel malto vi sono le amilasi, che spezzano (idrolizzano) l’amido in carboidrati più semplici come maltosio (uno zucchero costituito da 2 molecole di glucosio legate fra loro), maltotriosio (3 molecole di glucosio) e oligosaccaridi (fino a una decina di unità). Un enzima (maltasi) prodotto dal lievito stesso scinde il maltosio in due molecole di molecole di glucosio, che è la base di partenza per le reazioni metaboliche del lievito. Quando si trovano in carenza di ossigeno le cellule del lievito iniziano a degradare lo zucchero attraverso la fermentazione, generando etanolo e anidride carbonica. La CO2 tende a salire in superficie e man mano rimane imbrigliata in una sorta di rete proteica, dando origine alla tipica schiuma.
Anticamente la birra si produceva per fermentazione spontanea innescata da lieviti naturalmente presenti nelle materie prime impiegate (un procedimento che oggi sta tornando in auge tra i cultori di questa bevanda). Poi sono stati selezionati lieviti particolarmente efficienti, in primis Saccharomyces cerevisiae, che è, appunto, il lievito di birra e dà luogo alla fermentazione alta, così chiamata perché le cellule di lievito tendono a salire in superficie a fine fermentazione. In un secondo tempo è stato messo a punto il processo di fermentazione bassa operato da altre specie di saccaromiceti, come S. carlsbergensis, in grado di fermentare a temperature più basse, consentendo un migliore controllo del processo. L’aggettivo “bassa” è dovuto alla tendenza di questi lieviti a depositarsi sul fondo del fermentatore. Dalle due tipologie di fermentazione, alta o bassa, derivano rispettivamente i due stili di birra ale e lager.
Prodotti da forno
Tra le diverse tecniche di lievitazione dei prodotti da forno, la lievitazione biologica non è altro che il risultato di un processo fermentativo. Si può ottenere impiegando il lievito di birra (il nostro “amico” Saccharomyces cerevisiae), oppure la pasta madre (nota anche come lievito naturale o lievito madre), che sono due cose ben diverse. Il primo è un tipo di lievito che, ormai l’avrete capito, è responsabile della fermentazione alcolica, con produzione di etanolo e anidride carbonica. È a quest’ultima che si deve la formazione di bolle nell’impasto durante la fermentazione e la cottura.
Il glutine costituisce una rete proteica elastica che trattiene le bolle e fa sì che si formi la caratteristica struttura alveolata dei prodotti da forno. La pasta madre, invece, è un impasto di farina e acqua in cui è presente una comunità microbica variegata, composta da lieviti e batteri di diversi generi e specie, provenienti dalla farina stessa, dall’aria e dalla eventuale materia organica impiegata in origine per produrre la pasta madre (solitamente frutta). Per mantenere l’equilibrio in questa comunità microbica tanto ricca si effettuano continui “rinfreschi”, cioè aggiunte di nuova farina e acqua, e si controlla la temperatura, molto importante per evitare sbilanciamenti tra le varie specie. Con la pasta madre avvengono diverse tipologie di fermentazioni (alcolica, omolattica, eterolattica) e si formano molteplici composti: oltre a etanolo e CO2, importanti per lo sviluppo del prodotto in volume, anche acido lattico, acetico e altri acidi organici che svolgono un ruolo determinante per quanto riguarda l’aroma e la shelf life dei lievitati.
Cacao e caffè
Sia i semi di cacao (fave) che quelli di caffè dopo la raccolta sono sottoposti a una fase di fermentazione portata avanti da batteri e lieviti naturalmente presenti e/o colture starter di ceppi selezionati che talvolta vengono inoculate. Questi microrganismi fermentano zuccheri e altre sostanze (ad esempio polifenoli) presenti nella polpa che circonda i semi, portando alla formazione di precursori degli aromi che poi si svilupperanno nella fase di tostatura e che conferiscono a cacao e caffè le tipiche caratteristiche sensoriali che tanto amiamo.
Tapioca
In alcuni casi la fermentazione viene sfruttata per rendere commestibile una materia prima che, altrimenti, sarebbe tossica. Un esempio è la tapioca, farina ottenuta dalla manioca o cassava (Manihot esculenta), un tubero coltivato nelle regioni tropicali. Le radici di questa pianta sono ricche di amido, ma contengono anche linamarina, una sostanza che nel nostro intestino si decompone liberando acido cianidrico, il pericoloso cianuro. Nel processo tradizionale di produzione della tapioca le radici di cassava vengono lasciate fermentare in modo che gli enzimi microbici possano idrolizzare tale sostanza riducendone la tossicità.
Non solo cibo
Le fermentazioni microbiche rientrano nell’insieme delle biotecnologie, cioè tecnologie che sfruttano i microrganismi nei processi di produzione o trasformazione di sostanze. Molteplici settori industriali ne fanno impiego, oltre a quello alimentare, per applicazioni che vanno dalla formulazione di principi attivi per farmaci, integratori e cosmetici alla biodegradazione dei rifiuti, fino alla produzione di biocombustibili e bioplastiche. Di queste ultime citiamo il PLA (acido polilattico), sintetizzato da acido lattico proveniente da fermentazione batterica e impiegato per fare sacchetti, posate e altri manufatti biodegradabili e compostabili, e i poliidrossialcanoati (PHAs) prodotti da alcuni batteri che non solo generano i monomeri di partenza (ad esempio l’acido butirrico) mediante fermentazione, ma riescono anche a legare fra loro tali monomeri per “costruire” da sé i polimeri (i PHAs, appunto) come riserva energetica, proprio come fanno le piante con l’amido.
FONTI
– Galasso L., Lievito (Saccharomyces cerevisiae) e società umana, www.antropologialimentare.it
– Jakubczyk KP et al., Characteristics and biochemical composition of kombucha – fermented tea, Med Og Nauk Zdr., April 2020
– Lehninger A. L., Principi di biochimica (Zanichelli)
– Montanari G., Omnia Fermenta (Chiriotti Editori)
– Reade et al., Fermentation art and science at Nordic Food Lab, capitolo in The Routledge handbook of sustainable food and gastronomy (Routledge)
Articolo pubblicato su Pasticceria Internazionale n. 323, nov.-dic. 2020, pagg. 140-143 (Chiriotti Editori)